“un problema è qualcosa con una soluzione, se non c’è una soluzione, non c’è un problema” [West Bank].
Siamo tutti d’accordo che le domande aiutano a capire? Quante volte i bambini, i ragazzi vorrebbero rivolgerci delle domande e non si sentono legittimati a farlo, perché temono di essere derisi o giudicati? Spesso rispondiamo distrattamente e in modo irrispettoso. Eppure, come adulti e come docenti, facciamo domande che crediamo intelligenti e complesse, mentre per i bambini sono di una semplicità incredibile. Gli studi condotti nei diversi ambiti disciplinari confermano che il fare domande è alla base del processo di insegnamento: per vedere se stanno seguendo o hanno capito la lezione, per avviare o controllare la discussione, per interrogarli e dar loro una valutazione. Insomma, le domande, e precisamente quelle degli insegnanti, segnano e sovrastano la didattica e i libri di testo. L’intento del testo è quello di rintracciare alcune linee di intervento che aiutino i docenti a utilizzare in modo sempre più efficace le domande nella pratica didattica, e incoraggiare gli allievi a porre domande senza timori e a renderle sempre più calzanti e critiche.
Perciò la riflessione è: lasciamo spazio alle domande di emergere così come vengono senza giudicarle opportune o inopportune? Sappiamo bene che l’apprendimento avviene mediante tentativi di prove ed errori, grazie a tale processo che scopriamo e conosciamo nuovi percorsi.
Socrate e i suoi interlocutori seguivano una serie di domande e risposte per far emergere la propria ricerca della verità che è già dentro di noi, ma va tirata fuori attraverso il dialogo. Socrate definiva questo procedimento “maieutica” ovvero l’arte di far partorire, arte dell’ostetricia. La conoscenza è un concetto indefinito che trova evoluzione nell’errore e che colui che educa può facilitare il rapporto dei suoi allievi attraverso gli errori che commettono piuttosto che intervenire in modo punitivo ai fini di una correzione definitiva.
Se proviamo a cercare nei recenti studi e teorie sulla validazione di una pedagogia dell’errore possiamo arrivare nella seconda metà del ‘900 con le ricerche di Potter e Perkinson. Per la prima volta si sente parlare del criterio di Fallibilità come distintivo del processo cognitivo in contrapposizione ad un atteggiamento giustificazionista. Viene sostenuto un approccio critico dove l’errore diventa protagonista nel percorso di costruzione della conoscenza. Nel testo “The Possibilities of error” viene presa in considerazione la possibilità di inserire l’errore nella didattica a scuola, utile al processo di insegnamento e di apprendimento. Feuerstein dedica alcune pagine del Programma di arricchimento strutturale (PAS) agli errori, proprio per sottolineare la loro funzione come fonte di pensiero critico consapevole. Per mezzo dell’identificazione degli errori e della loro causa, l’allievo apprende strategie fondamentali di analisi critica e sviluppa sicurezza e abili trasversali alla disciplina scolastica.
Allora andar per tentativi si impara, posizionarsi con trepidazione senza aver paura di sbagliare. le scoperte più grandi sono emerse da errori casuali. I nostri apprendimenti sono fatti di prove e di errori e fin dalla nascita cresciamo con l’impulso di scoprire e imparare qualcosa in più di ciò che già sappiamo o che intuiamo di sapere.
e tu che ne pensi? adesso aspetto la tua opinione nei commenti